Le storie di successo vanno condivise, diffuse, urlate al mondo. Come la storia di questa mia amica, che dopo due parti cesarei è riuscita ad avere un parto naturale. Già alla seconda gravidanza era convinta che questa volta il suo grande sogno, quello del parto naturale, sarebbe stato esaudito. La prima gravidanza era passata già da sei anni, all’epoca non riusciva a dilatarsi, suo marito era irrequieto, la situazione non tranquilla. E di conseguenza è finita in sala operatoria. La seconda volta si è detto che sarebbe stata la volta buona, ha fatto tutte le visite e ha firmato anche per l’epidurale (obbligatoria a quel tempo per fare il “travaglio di prova” dopo il cesareo). Al parto mi sono data il cambio con suo marito, ma all’improvviso un dolore strano ha preso possesso di lei e dopo alcuni tentennamenti i medici hanno deciso di intervenire e fare un cesareo. Lei al primo momento si è opposta ma dopo ha acconsentito, non aveva altra scelta. Il ginecologo presente all’intervento non sapeva il motivo di quel dolore, nella cartella clinica si parlava di “sospetta rottura dell’utero”. Una diagnosi sbagliata, come scopre alla terza gravidanza, quando decide di fare una visita da un noto ginecologo in zona per avere una seconda opinione. E le si aprono tutte le porte… lei che finora sosteneva di essere un “caso speciale”, di aver subito una rottura dell’utero e perciò ha programmato la data dell’intervento. Esce con una nuova speranza da quello studio medico, dove l’ho accompagnata. Fa tutte le visite preparatorie per il cesareo programmato ma le fissano la data vicinissima alla data presunta del parto, cosa che è diventata di prassi in quell’ospedale (e nel frattempo era anche stato tolto anche l’obbligo dell’epidurale per il vbac). L’intervento è fissato per il 7 novembre, la data presunta è il 9. Prima però c’è la luna piena, il 4. La notte del 2 novembre mi chiama. Siccome suo marito lavora fuori, mi avevano chiesto di accompagnarli, sia per il cesareo che per il parto naturale. Un’abbondante perdita di sangue nel cuore della notte la mette in allerta. Chiama l’ospedale, e ci andiamo. Vengono fatti subito il tracciato e la visita. Il sangue è del collo dell’utero, segno di inizio parto, tutto bene. Decidono di ricoverarla. Dopo un’ora abbondante di monitoraggio, verso l’alba decidiamo che io sarei tornata a casa finché qualcosa sarebbe cambiato.
In mattinata mi chiama e mi dice che il travaglio è partito, è tranquilla e passeggia nel corridoio. Avvisa anche suo marito in modo da farci arrivare entrambi alle 13. Decido di arrivare in anticipo, perché a casa avverto uno strano senso di irrequietezza e l’impulso di partire. Come raggiungo le scale dell’ospedale mi chiama piuttosto affannata e mi dice che la stanno portando in sala parto. Quando la raggiungo la vedo molto concentrata e dentro di sé, ha già intrapreso il suo viaggio. La ginecologa di turno le parla dei pro e contra dei VBAC e dice che chiaramente prevalgono i motivi per un parto naturale. Arriva l’anestesista perché hanno preferito farle lo stesso l’epidurale, dopo due cesarei… E’ a 5 centimetri di dilatazione, tutto lo staff ammira la sua determinazione nel volere il parto naturale e si meraviglia della forza della natura. In quel momento a partorire c’è solo lei e quindi ha tutta l’equipe a sua completa disposizione! Poco dopo le dicono che ha raggiunto la dilatazione completa e che inizia la fase espulsiva. C’è una pausa piuttosto lunga e nello stesso tempo il cambio dei turni. La nuova ostetrica abbassa le luci, crea un’atmosfera intima (“per accogliere al meglio questo bambino”), le propone di cambiare posizione e la mia amica dice che vorrebbe provare lo sgabello. Tutto procede per il meglio, sta facendo un lavoro grandioso e rapido. Ad un certo punto arriva la ginecologa che la vuole mettere sul letto – lo sguardo dell’ostetrica mostra disapprovazione, ma la trasferisce sul letto. La mia amica non ci sta benissimo, ma ci si adatta. Dopo qualche spinta esce il piccolo principe con tutto il corpicino. Piange subito a pieni polmoni, la mamma lo prende in braccio e gli parla dolcemente. Mi invitano a tagliare il cordone. Mamma e figlio rimangono in sala parto per più di due ore; il piccolino si attacca più volte al seno. Piena di gioia e felicità e con un pizzico di fierezza di avercela fatta, la neo mamma raggiunge la sua camera….a piedi. Dopo calorosi abbracci e parole piene di emozioni sento che il mio compito è concluso e lascio tutti e tre alla loro nuova felicità – in attesa che arrivino gli altri due figli.
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